La legge 225 del 1992 individua, attraverso i piani della Protezione Civile, le azioni da attuare per fronteggiare le emergenze idrogeologiche nel nostro paese. Atti che si muovono lungo tre direttrici fondamentali: la sistemazione idrogeologica ed idraulica del territorio ( prevenzione), la regolamentazione e l’utilizzo delle aree inondabili (gestione) e i dispositivi e le azioni da mettere in campo in caso di allarme, con la gestione dei piani evacuazione delle popolazioni delle aree a rischio (emergenza). Il legislatore nel corso degli ultimi 20 anni, trovatosi a rincorrere un’emergenza dopo l’altra, ha diramato una serie di leggi obiettivo attraverso le quali ha messo a disposizione delle zone colpite da inondazioni e alluvioni fondi pubblici per finanziare gli interventi straordinari necessari per la ricostruzione dei territori devastati. Per l’alluvione del Piemonte del ’94 con la legge 22 del ’95 fu individuato il Piano stralcio 45 per la realizzazioni di interventi idraulici necessari per risolvere i problemi relativi all’assetto idrogeologico della zona del Po. Di piani simili nel corso dei decenni ne sono stati finanziati tanti. Per l’emergenza di Genova e della Liguria, restando ai nostri giorni – il governo ha stanziato 65 milioni di euro.
Cifre che nulla valgono dinanzi al sacrificio di vite umane e alla disperazione di centinaia di famiglie che hanno perso tutto quello che avevano costruito con il lavoro di una vita, dalla sera alla mattina. Interventi necessari tanto più se si entra nell’ottica – come denunciato nel nuovo dossier di Legambiente – per cui questi fenomeni non sono da considerarsi più straordinari, ma la normalità a causa dei cambiamenti climatici in atto. Per questo occorre avviare un piano di prevenzione complessivo che preveda operazioni di messa in sicurezza delle zone a rischio, la delocalizzazione degli edifici situati nelle aree ‘rosse’, la manutenzione del territorio e l’educazione dei cittadini.